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Fa caldo.
La pressione mi scivola via
come sudore dalla fronte.
Sono a letto.
Le 13:00.
Dovrei mangiare.
Il solito ristorante —
quello dove non servono parole —
è lì, a pochi passi.
Ma oggi
non ho forze.
Solo solitudine
e un corpo che pesa.
Per sbaglio parte una chiamata.
Risponde un amico.
«Come va?»
«Tutto ok»,
mento con voce pulita.
Allora mi alzo.
Vado.
Lo vedo —
un uomo, affascinante,
uno sguardo che sposta l’aria.
Mi invita a cena.
Accetto.
Ci vediamo,
ci tocchiamo,
ci raccontiamo.
Andiamo a vivere insieme.
Ma il silenzio cresce.
Mi sento piccola.
Non è amore.
È un’altra prigione.
Lo lascio.
Lui no.
Mi segue:
al lavoro, sotto casa,
al supermercato.
Un sogno marcio
che non finisce.
Mi sveglio.
Letto.
13:15.
Un sogno.
O forse no.
Ho fame.
Oggi niente ristorante.
Solo un piatto di pasta.
Io
e la mia solitudine,
che almeno
non mi perseguita.